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L’oro nero di Modena

Tra i tanti prodotti tipici della tradizione modenese, l’aceto balsamico è uno dei più antichi, dei più famosi e dei più ricercati. Esistono due varianti:

  • Aceto Balsamico di Modena IGP, quello più diffuso, di solito di tipo industriale, che non richiede un lungo invecchiamento e che permette l’uso di diversi aceti di vino e mosto cotto, l’introduzione di diversi additivi (ad esempio, il caramello) e materie prime provenienti da tutto il mondo,
  • Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, quello più pregiato e raro, che si ottiene facendo invecchiare per lungo tempo (almeno 12 anni) il solo mosto cotto di uva delle provincia di Modena.

Una lunga storia

Già Virgilio, nel 31 a.C., documentava l’uso del mosto d’uva cotto (sapum) come medicinale o condimento.
Il profondo legame con Modena è invece attestato fin dal 1046 d.C., quando Enrico II, re di Germania, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero, inviò richiesta al marchese Bonifacio III, padre di Matilda di Canossa, per una botticella di “quell’aceto che gli era stato lodato e che aveva udito farsi colà perfettissimo”. L’aceto doveva quindi essere già rinomato e altrettanto prezioso, se è vero che il regalo, che “si ebbe molto caro il magnifico dono”, venne inviato in un vaso d’argento.

De aceto, quod marchio Bonefacius transmisit Heinrico regi secundo, et de grandi dono, quod quidam servus eius dedit eidem regi.

Magnifici vultus rex Italiamque secundus
Venit Heinricus, sapiens, iocundus, opimus;
Mandavitque sua Bonefacio nova plura,
Et quoniam secum laudatum vellet acetum […].

Donizone, De Vita Mathildis, 1111-1116 d.C.

La tradizione dell’aceto balsamico viene portata avanti, nei secoli, anche dalla famiglia degli Este: dai barili di aceto balsamico del Palazzo Ducale Estense, le preziose bottigliette sono doni rari per i personaggi di rilievo di tutta Europa: da Diego Velazquez a Ludovico Antonio Muratori, dalla zarina Caterina la grande all’Imperatore Francesco II.
Nel 1747, nei registri di cantina dei duchi d’Este, compare per la prima volta l’aggettivo “balsamico”: si parla di “mezzo balsamico”, l’odierno Aceto Balsamico di Modena, e di “balsamico fine”, corrispondente all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.
E la tradizione dell’aceto balsamico, a Modena chiamato più semplicemente “aceto”, non essendo quasi utilizzati altri tipi di aceto, è tuttora portata avanti da piccoli e grandi produttori o da diverse famiglie.

Come si fa? Con tanta pazienza…

Si parte della raccolta di uve (Lambrusco, Trebbiano e Ancellotta) prodotte e vendemmiate esclusivamente in provincia di Modena, che vengono pigiate delicatamente per ottenere il mosto.
Il mosto viene cotto a fuoco diretto e a cielo aperto, a 90°C, per 10-16 ore ininterrotte.
Raffreddato e filtrato, il mosto serve unicamente per rabboccare la prima botte della batteria.
La batteria è un insieme di botti, a volumi decrescenti, spesso di legni diversi, nelle quali l’aceto invecchia e procede, con piccoli travasi annui, dalle botti più grandi (fino a 50 litri) a quelle più piccole (10 lt).
Una batteria è composta solitamente da 5-7 botti, ma quelle “imperiali” arrivano anche a 12 botti.

Solo dopo 12 lunghi anni è possibile prelevare, dall’ultima botticella, una piccola parte di aceto balsamico tradizionale. L’attesa diventa ancor più lunga per la denominazione “extravecchio”: in questo caso, sarà necessario attendere almeno 25 anni.

Le acetaie sono collocate nei sottotetti, perché la forte escursione termica tra inverni rigidi ed estati calde e umide crea le condizioni ideali per favorire l’invecchiamento e l’evoluzione di lieviti e acetobatteri.
Inoltre, per favorire lo scambio di ossigeno, il foro nella parte alta delle botti non viene chiuso, ma è coperto da una semplice garza, mantenuta ferma da un tappo (di legno, o un sasso di pietra).

Come gustare l’aceto balsamico

La degustazione dell’aceto balsamico tradizionale va fatta a temperatura ambiente.
Alla luce della candela, con il matraccio si fa dapprima una valutazione visiva, poi quella olfattiva dell’aceto.
Per la valutazione gustativa si utilizza un cucchiaino in ceramica o, al più, in plastica (non in metallo, perché potrebbe alterare gli aromi dell’aceto).

Per apprezzare due prodotti tipici del territorio modenese, mettete qualche goccia di aceto balsamico tradizionale su dei pezzi di parmigiano reggiano.
Il gusto agrodolce dell’aceto ben si sposa anche con le fragole, o con il gelato (fior di latte o crema).

Scopri l’aceto e le acetaie

Nel sottotetto del Palazzo Comunale di Modena, nel 2003 è stata creata un’acetaia composta da tre batterie. Dal 2015 è possibile ricavare l’aceto “affinato”, mentre per lo “stravecchio” bisognerà attendere il 2028.
È possibile prenotare la visita guidata all’acetaia comunale dal sito di Visit Modena.

Sempre nel centro di Modena, sono presenti diversi luoghi dove poter scoprire l’aceto balsamico attraverso i suoi produttori: il Gran Deposito dell’Aceto Balsamico di Giuseppe Giusti in Piazza Grande, La Consorteria 1966 in Piazza Mazzini, lo Showroom dell’Acetaia Malpighi in Piazza Roma.

Molte acetaie aderenti al Consorzio per la Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena sono visitabili, previo contatto e prenotazione: sul sito del Consorzio è disponibile la mappa delle acetaie.

A Spilamberto, a pochi chilometri da Modena, è presente il Museo del Balsamico Tradizionale, con possibilità di visita guidata e assaggio.

Curiosità

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è facilmente riconoscibile dalla bottiglietta, uguale per tutti i produttori, a forma di ampolla sferica con base rettangolare, che fu disegnata nel 1987 da Giorgetto Giugiaro.

All’ingresso di Spilamberto, sulla strada che collega il paese a Modena, è presente una scultura dal titolo Goccia. L’essenza, concepita da Nadia Ugolini e Alessandro Zomparelli e realizzata da Lunati Manufacturing Ideas, che rappresenta una goccia di aceto balsamico.
Per la sua particolare forma, la scultura è anche chiamata scherzosamente “il clistere”.

… e che differenze ci sono con l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia?
La risposta potrà sembrare strana, ma è una sola: nessuna!
Identiche sono la storia, il territorio, la tradizione e le tecniche produttive. Si tratta quindi di un unico prodotto, “che solo l’insipienza umana ha voluto distinguere” [Vincenzo Ferrari Amorotti, 2009]
(ma non ditelo a un modenese o a un reggiano: la rivalità tra di due comuni è ancora sentita e ciascuno ritiene che il proprio aceto sia il migliore!)